La rivista The Economist annuncia (Creative destruction, 28 giugno 2014) una rivoluzione in atto nel settore dell’istruzione universitaria a livello globale, innescata da tre elementi principali: l’aumento dei costi e in maniera collegata anche delle rette, i cambiamenti nella domanda e nel mercato del lavoro, e l’utilizzo sempre più creativo delle nuove tecnologie.
L’istruzione superiore è uno dei successi del welfare state: quello che un tempo era il privilegio di pochi è diventato un diritto accessibile a molti, in grossa misura grazie al sostegno pubblico. La domanda per questo servizio è aumentata nel tempo, ma il design dell’offerta è cambiato poco: gli studenti, in prevalenza giovani, si ritrovano ad un tempo e in un luogo predefinito ad ascoltare il contributo degli esperti. Ora però, tre forze spingono verso il cambiamento, fuori dalle aule tradizionali, e sempre più online.
In primo luogo, l’aumento dei costi e delle rette: negli ultimi due decenni le rette universitarie negli Stati Uniti sono aumentate annualmente ad un tasso superiore dell’1,6% rispetto al tasso di inflazione. I rendimenti dall’istruzione superiore continuano ad essere elevati, ma per coloro che contraggono debiti cospicui – e in particolare per quel 47% negli USA e 28% nel Regno Unito che non completa gli studi – può non essere così conveniente. Inoltre, il supporto pubblico è in diminuzione: negli Stati Uniti il finanziamento pubblico per studente è diminuito del 27% tra il 2007 e il 2012, mentre le rette medie, aggiustate per l’inflazione, sono aumentate del 20%. Nel Regno Unito le rette sono passate da 1.000 sterline l’anno nel 1998 ad un massimo di 9.000 nel 2012.
In secondo luogo, il mercato del lavoro sempre più richiede una formazione continua e non solo precedente l’inizio della vita professionale. Miglioramenti tecnologici sempre più pervasivi estendono la possibilità di automatizzare a settori che fino ad ora erano rimasti relativamente meno toccati, come la contabilità e la vendita al dettaglio.
Infine, la stessa tecnologia ‘abilita’ il cambiamento: così come Internet ha rivoluzionato settori come la musica, i giornali e l’editoria, qualcosa di simile potrebbe accadere anche nell’istruzione superiore. I MOOC (Massive Open Online Course) offrono agli studenti la possibilità di assistere (virtualmente) alle lezioni tenute da professori di università prestigiose, gratuitamente o per una frazione del costo della frequenza tradizionale. Nati nel 2008, i MOOC non hanno ancora pienamente soddisfatto le aspettative, per quanto il vero e proprio lancio risalga al 2012, con la costituzione degli attori for-profit che attualmente dominano il settore: edX, gestito dall’Università di Harvard e dal Massachussets Institute of Technology; Coursera, in partnership con l’Università di Stanford; e Udacity, co-fondata da un ex-professore di informatica di Stanford. Coursera sostiene di avere 8 milioni di utenti registrati: i corsi offerti sono gratuiti, ma nel 2013 ha per la prima volta raggiunto 1 milione di dollari di fatturato introducendo la possibilità di ottenere una certificazione dietro pagamento di un prezzo compreso tra i 30 e i 100 dollari. Udacity ha stretto un accordo con l’operatore telefonico AT&T e l’università tradizionale Georgia Tech per offrire un master online in informatica, ad un prezzo pari circa ad un terzo rispetto alla versione tradizionale.
Quale impatto potrebbe essere l’impatto dei MOOC sulle università esistenti? Non tutte ne soffriranno, mentre università prestigiose come Oxford e Harvard potrebbero beneficiarne. Molti continueranno a voler accedere alle migliori università per le opportunità di networking. Inoltre, le università tradizionali creano capitale sociale, e consentono agli studenti di imparare anche a discutere e sostenere le proprie idee. Una soluzione potrebbe consistere nel combinare i due sistemi: il fondatore di edX propone ad esempio, quale alternativa ai quattro anni di istruzione universitaria tipici negli USA, un primo anno di studio via MOOC, seguito da due anni di frequenza di tipo tradizionale, e un quarto anno di avvio di un lavoro part-time mentre il corso di studi viene completato online. Si tratta di una forma di apprendimento misto che potrebbe riscuotere maggior successo rispetto ad un corso di studi completamente online.
Le università più conosciute saranno in grado di vendere i propri MOOC in tutto il mondo. Le università di livello medio, e in particolare quelle private, potrebbero invece soffrire di questa tendenza, seguendo il destino di molti quotidiani: le entrate potrebbero diminuire drammaticamente, con una conseguente riduzione dell’occupazione e la probabile chiusura di molte istituzioni.
Per quanto riguarda invece l’impatto sociale più ampio, per certi versi i MOOC aumenteranno le disuguaglianze tra gli studenti, poiché alcuni sapranno muoversi meglio di altri al di fuori dell’ambiente strutturato delle università, ma anche tra i docenti, laddove i più carismatici verranno premiati. D’altro canto, nei paesi avanzati gli studenti potranno accedere ai servizi di istruzione superiore a costi inferiori e con maggiore comodità, mentre nei paesi in via di sviluppo i corsi online presentano opportunità di accelerazione e configurazione di un’offerta a prezzi inferiori rispetto a quelli che caratterizzano molti paesi avanzati. Inoltre, la flessibilità dei MOOC è particolarmente attraente per gli utenti di tutte le età che necessitano di formazione continua.
Cosa può fare l’attore pubblico in questo contesto? La visione dell’Economist è chiara: piuttosto che cercare di difendere il vecchio sistema, dovrebbe favorire un efficace funzionamento di questo modello emergente. In Brasile, ad esempio, gli studenti che completano un corso sostengono un esame gestito dal governo; altrove, soprattutto nei paesi avanzati, si potrebbe attribuire ad una singola organizzazione il compito di certificare gli esami.
D’altro canto, i tempi e i modi con cui questo nuovo modello si diffonderà nei diversi paesi dipenderanno anche dalla misura in cui i principali provider verranno osteggiati o in qualche modo sostenuti dalle istituzioni universitarie locali. Ad esempio, l’Unione Europea ha promosso la possibilità di trasferire crediti formativi universitari, a discrezione degli atenei, all’interno della rete dei 53 paesi che hanno firmato la Convenzione di Lisbona per il Riconoscimento. I provider potrebbero beneficiare notevolmente da una disponibilità ad accettare crediti MOOC da parte delle università coinvolte, consentendo in questo modo di estendere lo scambio e il trasferimento di crediti anche al mondo virtuale.